lunedì 21 settembre 2015

I Druidi

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Figure misteriose i druidi, ammantate di leggenda e a volte “prese in prestito” dal genere fantasy, ma cosa racconta di loro la storia?
Clero celta di grande cultura e complessità, i druidi si preparavano per 20 anni prima di occupare la loro posizione di custodi dei miti segreti della loro religione. Solo dopo aver superato prove di iniziazione, il druido entrava a far parte di una casta a sé, addirittura superiore a quella dei guerrieri. I druidi servivano la loro tribù non solo come sacerdoti, ma anche come giudici e storici.
Celebravano i loro riti religiosi, che contemplavano sacrifici umani, in fitte foreste (il “bosco sacro”). I sacrifici rituali tra i celti seguivano regole precise. Per esempio, sebbene le vittime fossero di solito arse vive, in gabbie di vimini a forma di enormi teste, questo destino era riservato ai prigionieri di guerra, tenuti in vita appositamente, e veniva raramente inflitto ai celti, per essere offerti come vittime innocenti.
Lo scrittore del I sec. a.C. Plinio il Vecchio ci da un’affascinante descrizione dei druidi che, in bianche vesti, celebravano la sesta notte del novilunio, tagliando un ramo di sacro vischio cresciuto su una quercia sacra (la parola “druido” significa “che conosce la quercia”, in gaelico, la lingua dei Celti della Britannia). Il vischio, secondo Plinio, veniva tagliato con una falce d’oro e posato su un mantello bianco steso per terra. Poi era usato per pozioni magiche. Sembra, quindi, che i druidi fossero anche dei guaritori, erboristi e maghi. I Celti erano per lo più analfabeti, ma i druidi sapevano leggere e scrivere, e molti conoscevano il latino, oltre alla loro lingua. Erano, inoltre, studiosi delle stelle. Non solo praticavano una forma astrologica di magia guardando la sfera di cristallo, ma avevano anche cognizioni di astronomia pari a quelle dei Romani. Il loro calendario, per esempio, si basava su un anno comprendente 12 mesi di 30 giorni, più alcuni giorni intercalari. Dopo la distruzione del centro religioso di Mona, tuttavia, il druidico perse la sua autorità e prestigio.
Di lì a qualche generazione i druidi erano scesi a un livello di poco superiore a quello di stregoni.

giovedì 17 settembre 2015

Sirene: ammaliatrici dei naviganti

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Le sirene nell’immaginario moderno sono raffigurate come bellissime donne con la coda di pesce, ma è dal Medioevo che hanno questo aspetto. Nella mitologia greca esse erano orribili creature dalla testa umana ed il corpo d’uccello (simili alle Arpie), ma Omero, il primo che narra di loro, non descrive il loro aspetto, forse dato per scontato, ma ci fa sapere tramite le parole di Circe che ammaliavano i naviganti per portarli alla morte. Chi sente il canto delle sirene dimentica patria e sposa, bramando solo di raggiungerle… e le ossa dei morti si accumulavano intorno a loro… 960419531Sono due le sirene che cercarono di ammaliare Ulisse e sapevano tutto di lui, delle vicende accadute davanti a Troia. Conoscevano persino il suo nome, questo poiché erano onniscienti. Inoltre potevano anche controllare i mari e i venti. Infatti, quando Ulisse s’avvicinò a loro con la sua nave, il vento cessò immediatamente. La leggenda è ben nota a tutti… Legato all‘albero maestro della sua nave, Ulisse, colui che voleva tutto conoscere, passò indenne dallo stretto delle sirene… E vi è una leggenda successiva al racconto di Omero che narra delle due sirene che, prostrate per il loro fallimento con l’eroe, si suicidarono…

venerdì 11 settembre 2015

Come reagire alle difficoltà?

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Sinceramente non so… Ma ho letto, tempo fa, su un giornale una storia che mi ha colpito. Narrava di una giovane donna che stava avendo delle non specificate difficoltà, era sfiduciata e aveva tanta voglia di mollare tutto. Lo comunicò al padre, un cuoco, e questi, senza dire una parola – così proseguiva il racconto – portò la figlia nella cucina del ristorante dove lavorava e mise a bollire tre pentole piene d’acqua. Quando l’acqua cominciò a bollire, mise in una pentola delle carote, in un’altra delle uova e nell’ultima dei chicchi di caffè… Passarono venti minuti d’attesa, la figlia era impaziente e non capiva, ma poi il padre spense il fuoco e mise il contenuto delle pentole in tre recipienti diversi e li pose innanzi a lei. Esortò la figlia ad osservare ogni elemento: le soffici carote, le uova ormai sode e l’aromatico caffé, e spiegò…
La carota prima di essere immersa nell’acqua calda (ovvero nelle difficoltà) era dura, fiera, ma poi nella cottura è diventata morbida, facilmente sfaldabile…
L’uovo, invece, aveva solo un fragile guscio a proteggere l’interno molle, ma dopo la cottura è diventato duro e compatto in ogni sua parte..
I chicchi di caffé, però, non erano mutati, anzi, avevano cambiato l’acqua fino a renderla scura e aromatica…
Ed il cuoco disse a sua figlia: “Come vuoi reagire alle avversità, tu? Come la carota che subito si sfalda, come l’uovo che in apparenza sembra uguale, ma il cui cuore è diventato duro e rigido, oppure come i chicchi di caffé che hanno mutato l’acqua cambiando gli eventi in qualcosa di buono?”
Non so cosa rispose la figlia, poiché il racconto finiva così, ma non ha importanza perché è a noi lettori che si pone quella domanda. Ed io, ora, mi ritrovo spesso a pormela, impegnandomi, per quel che posso, a essere come i chicchi di caffé, a reagire positivamente agli eventi negativi, a cambiarli e trasformali in cose migliori, perché solo così non mi lascerò vincere e aiuterò me stessa e chi mi sta accanto!
Grazie di cuore a chi ha scritto quel racconto e a chi lo ha pubblicato!

mercoledì 9 settembre 2015

Detesto gli stereotipi

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Detesto gli stereotipi. Non sopporto chi passa più il suo tempo a personalizzare il cellulare e non il proprio essere, standardizzandosi con la massa per il modo di pensare, vestire e agire. Credo che questo sia un atteggiamento molto facile di prendere la vita. Ora, non voglio iniziare la solita filippica contro la nostra società, ma contro gli individui, perché è dall’individuo che è composto questo nostro mondo. Io credo che sia proprio dagli uomini che deve partire il cambiamento, perché ogni persona dovrebbe essere diversa, unica, speciale e non il frutto di un unico stampo. Per me sono gli stereotipi e gli emulatori il problema. Tutto è stereotipato, tutto è in funzione dell’emulazione, e ciò che vale magari per un singolo gruppo di gente diventa valido per tutti… Ma non è così! “Tutti gli uomini sono dei maniaci, tutte le donne delle putt…” qualcuno ha detto. Che generalizzazione superficiale e immatura (oltre che offensiva!). Non è così. Solo che la mercificazione del sesso, che negli ultimi tempi sta prendendo maggior piede anche grazie alla globalizzazione, ha alterato la morale e l’etica, cose che, oltre l’intelligenza (ma per molti è diventata questa un mito ed usano la mente collettiva del “branco”), fanno differire l’uomo dalle bestie. Viviamo in un mondo destabilizzato, pieno in superficie, ma vuoto al suo interno… e gli stereotipi dilagano… E’ più facile amalgamarsi alla maggioranza, si soffre di meno ad essere parte di un “tutto” piuttosto che affermare e difendere (e trovare) le proprie idee. L’individuo (che più tale non è) sparisce così nella concezione della massa. Ma, per fortuna, anche questo non è legge per tutti… Attenzione a non cascare nei famigerati stereotipi! Per quanto riguarda me, farò quello che ho sempre fatto, continuerò a credere che Dio, Amore, Solidarietà, Pace, Speranza, non siano solo parole ma concetti radicati nell’anima. Non farò “di tutta l’erba un fascio” (se mi perdonate la frase fatta) e come “persona” mi rivolgerò ad altre “persone” sperando che a piccoli passi l’individuo (come concezione generale) riprenda spessore e la sua importanza…

Ametista, il mito

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L’Ametista è adesso un bellissimo cristallo dai toni violacei, ma il mito vuole che in principio fosse una splendida ninfa. Dioniso, dio del vino e della gioia, si innamorò di lei, ma l’eterea Ametista non accettò le profferte amorose del forse troppo invadente corteggiatore e fuggì. Dioniso, comunque, non s’arrese e la inseguì dovunque ella andasse. Disperata, infine, la ninfa, che aveva votato la sua verginità alla dea della caccia, Artemide, si rivolse alla sua protettrice per ottenere salvezza, ed ella la trasformò in una bella pietra cristallina. Dioniso solo allora comprese il male che aveva fatto ad Ametista e, pentendosi del suo comportamento, versò sulla pietra una coppa di vino, che conferì al cristallo il caratteristico e attuale colore…
Ametista, poi, non è la prima ninfa che viene trasformata in qualcosa per sfuggire alle attenzioni troppo invadenti di un dio: un esempio fra tutti è quello di Dafne che, perseguitata da Apollo, dio del sole, dopo una preghiera a Zeus fu trasformata in alloro.

martedì 8 settembre 2015

Dalla Webzine "JAPANIMANDO"...

Il cinquantunesimo numero di “JAPANIMANDO“,  bellissima rivista online dedicata al mondo del fantastico e del fantascientifico (non solo “made in Japan”), mi ha dedicato ben due pagine, lasciandomi la possibilità di presentarvi i miei libri già editi e darvi anche qualche anticipazione ;)
Ecco la copertina della rivista…
Japanimando 51
…e l’articolo su di me ^_^
Japanimando 51 - intervista ms
Vi consiglio però di leggervi tutta la webzine, perché lo merita!!!
Links:

lunedì 7 settembre 2015

Il Tesoro di Alarico (370-410 d.C.)

Nell’Agosto del 410, Alarico, re dei Visigoti, irrompe con i suoi entro le mura di Roma e mette a sacco la città. La capitale dell’impero, dopo ottocento anni, subisce l’onta dell’invasione e del saccheggio. Quali meraviglie e quali splendori si sarà portato dietro il re dei Visigoti che, dopo questa impresa, si mosse, con le sue schiere, verso il Mezzogiorno con lo scopo di indirizzarsi alle fertili sponde africane. Ma la scarsa esperienza di mare sconsigliò l’impresa, sicché, giunto alle coste calabri, decise di ripiegare. In questo luogo, in quello stesso 410, nei pressi di Cosenza, Alarico improvvisamente moriva di malattia. E qui la storia si ammanta di leggenda, infatti, si narra che il suo popolo, riconoscente, decise di deviare il corso del fiume Busento per fare nel suo letto una tomba degna di lui. Affinché nessuno la trovasse, il fiume venne riportato nel suo greto, nascondendo per sempre il re e la sua tomba. Si dice anche che Alarico fu seppellito con tutta la sua armatura e, con tutto ciò che, come re, gli toccava di parte del tesoro sottratto a Roma. E la tomba, dice la leggenda, è ancora là, sotto le acque del fiume Busento, con tutti i suoi tesori…
Chissà se oggi ci prendessimo la briga di usare tutta la nostra tecnologia, i fantastici computer o i satelliti, o qualsiasi diavoleria moderna, per sondare il greto del fiume Busento, troveremmo davvero qualcosa… Le leggende, si sa, sono solo tali, ma, a volte, hanno un fondo di verità. Quindi, e a me piace pensare che sia così, forse le spoglie del re visigoto ancora riposano sotto il corso del fiume, nascondendo i tesori di un tempo passato, come meravigliose testimonianze di uno splendore che non c’è più e che, forse, un giorno qualcuno scoverà… E sarà magari, un sognatore come me…

Le armi del cavaliere

Gli elementi essenziali dell’armatura cavalleresca sono: la spada, la lancia, un pugnale, talvolta anche un arco con la faretra piena di frecce, infine la corazza, lo scudo e l’elmo. Nei secoli, pur rimanendo invariati gli elementi che costituiscono l’equipaggiamento essenziale del cavaliere, cambiano, però, la foggia e l’aspetto delle armi, che diventano più complesse e pesanti e di conseguenza più difficili da maneggiare. Anche il loro costo aumenta, diventando accessibili solo a un numero ristretto di persone. Questo è il periodo in cui la cavalleria si trasforma in una vera e propria milizia professionale e in una casta privilegiata riservata ai nobili. D’altronde, nell’esercito feudale, era l’unico corpo ad avere un equipaggiamento completo. La fanteria, fatta per lo più da contadini coscritti, aveva una funzione nettamente ausiliare, poiché armata alla meglio con bastoni e coltelli.

domenica 6 settembre 2015

Andromeda - il mito

Ai tempi del mito, in Etiopia viveva una principessa di nome Andromeda, figlia di Re Cefeo e della Regina Cassiopea. Era una bellissima fanciulla tanto che la madre non perdeva occasione di vantarsi di lei. Un giorno arrivò a proclamare Andromeda come la più bella fra le belle, al di sopra persino delle Nereidi, figlie di Poseidone. Il dio dei mari si irritò notevolmente a questo annuncio e decise di punire l’arrogante Cassiopea e tutto il suo popolo. Per vendicarsi dell’affronto subito mandò un mostro a devastare le cose dell’Etiopia. Allora Re Cefeo, per sapere come liberare il proprio popolo da tale calamità, si rivolse all’oracolo d’Ammone. Questi proferì che la collera del dio si sarebbe placata solo se la principessa Andromeda fosse stata sacrificata al mostro. La disperazione pervase l’anima dei due genitori, ma la principessa, saputo del fatto, si offrì coraggiosamente per il sacrificio che sarebbe avvenuto da lì a tre lune. Il valente Perseo, promesso sposo di Andromeda, decise comunque di tentare l’impossibile. Partì per interpellare le tre Graie su come salvare la sua amata. Queste, personificazioni della vecchiezza, divoratrici di carne umana, cieche, ma con un solo occhio di vetro in comune che permetteva loro di sapere ogni cosa, ostacolarono il giovane. Ma Perseo, con astuzia, sottraendo loro l’unico occhio di vetro, le costrinse a rivelargli tutto. Solo lo sguardo della Gorgone, Medusa, avrebbe potuto uccidere il mostro. Medusa, però, non sarebbe stata un avversario facile: il suo sguardo pietrificava chiunque la guardasse e nessuno era mai uscito vivo dal suo antro. Soltanto con l’elmo di Ades, che rendeva invisibili, e lo scudo di Atena, dalla superficie splendente, egli avrebbe potuto tentare la sorte. Impadronitosi dei mitici doni, Perseo andò nella dimora della Gorgone e si presentò davanti a Medusa grazie all’elmo di Ades. E mentre Medusa si guardava nella superficie splendente dello scudo di Atena, ricevendo i malefici influssi del suo sguardo, Perseo le tagliò la testa. Dal tronco di Medusa uscì il cavallo alato Pegaso, con il quale Perseo spiccò il volo per raggiungere l’Etiopia, dove ormai Andromeda stava per essere sacrificata al mostro. 
La fanciulla, incatenata ad uno scoglio, attendeva fremente di paura che le fauci del mostro si stringessero intorno a lei, quando Perseo, ormai giunto, tese la destra che teneva la testa di Medusa, che non aveva perso i suoi malefici poteri, innanzi al mostro che subito si pietrificò. Così Andromeda fu salva e i due giovani poterono sposarsi…

Questo è il mito, raccontato con parole semplici, quasi come una fiaba a lieto fine, ma non tutti i racconti mitologici greci e romani hanno un buon finale, e molte sono le storie che si contraddicono o che parlano del medesimo personaggio. Per esempio, in questo mito si parla anche della “nascita” di Pegaso, ma sono molte le leggende che riguardano questo cavallo alato. Una lo vuole portatore dei fulmini divini di Zeus, un’altra narra come Bellerofonte lo ammansì e lo catturò con una sella d’oro, e via dicendo… Era mia intenzione narrare questo mito, “respirando” le atmosfere di uomini e donne che creavano, come noi oggi, storie fantastiche, porgendo un occhio al cielo notturno…



giovedì 3 settembre 2015

Il torneo cavalleresco

Sono molti i film che parlano di cavalieri, che ci mostrano i tornei, ovvero gli scontri in “singolar tenzone” fra due avversari che si sfidano per l’onore, per la damigella di turno o per qualcos’altro… Storicamente, però, in origine intendo, il torneo era una vera e propria battaglia fra due schiere che si sfidavano pubblicamente. Solo successivamente divenne puro spettacolo e occasione per il cavaliere di esercitarsi, di fare mostra delle proprie abilità e destrezza e, non ultimo, di rimpinguare le proprie finanze grazie ai ricchi premi in palio e al riscatto pagato dal cavaliere sconfitto. Generalmente il torneo durava alcuni giorni ed aveva inizio con gli araldi che annunciavano, elencando titoli e riconoscimenti, ciascun cavaliere, mentre questi sfilavano, con le armature lucide e ostentando enormi pennacchi, davanti ai convenuti. Da dirsi che le armi dei cavalieri, in queste occasioni, erano solitamente spuntate, ma non per questo meno capaci di sferrare colpi mortali. Comunque, lo spettacolo vero e proprio aveva inizio con le “giostre”, cioè i combattimenti a coppie. I cavalieri al centro della “lizza”, un terreno delimitato dalla staccionata, si scagliavano con violenza l’uno contro l’altro, chiusi nelle loro armature, finché uno dei due non veniva disarcionato di sella. Le coppie di sfidanti si susseguivano per tutta la prima giornata e le seguenti. Solo l’ultimo giorno di gare si svolgeva il vero torneo, cioè il combattimento dei cavalieri divisi in due gruppi, in tutto simile a una vera battaglia, eccetto che per le armi spuntate. Era diverso persino il luogo dell’incontro, che era in genere un campo aperto e molto vasto.